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Responsabilità Sociale di Impresa e Comunicazione

Il tema della Responsabilità Sociale di Impresa diventa una leva di marketing che può posizionare meglio sul mercato il brand di una azienda.
Perché l’attività di collaborazione tra profit e non profit abbia un senso
(articolo del direttore generale del Banco Informatico sullla rivista dm&c n.3/4 di luglio 2012)

Il tema della Responsabilità Sociale si pone a livello di marketing per ben comprendere se l’attività di collaborazione tra profit e non profit ha un senso. Non tanto per un bisogno di soddisfare esigenze di etica, quanto e meglio per posizionare nel mercato stesso il brand di una azienda, i suoi prodotti e servizi.
Philip Kotler non più di 10 anni fa ha scritto di marketing e di ruolo sociale e come la spinta dei “consumi” non era sufficiente a sostenere l’economia: anzi si doveva modificare il modello sociale, con più sensibilità per “il Sociale”.
Una esperienza da capire
La Welfare Community è probabilmente una parola già strausata, ma una esperienza da ben capire,…. governanti in testa. Sempre più i siti internet delle società hanno un capitolo relativo alla Responsabilità Sociale, o altro nome per significare poi la stessa cosa: CSR (Corporate Social Responsability), Azioni di Cittadinanza Attiva, Buona Prassi Sociale, Connessione Sociale, e così via …
Resta un altro risultato pratico in termini di comunicazione: fioriscono i Bilanci Sociali.
Veri propri addendum al Bilancio Aziendale in cui si trasferiscono i dati in modo da segnalare l’attenzione per i dipendenti, per il territorio, per l’ambiente, per il contesto social.
Infine un’altra grande ragione per questo passaggio dell’ultimo Kotler: quali operazioni profit/non profit dell’Ente hanno inciso nel miglioramento sociale qualificato in un target ben definito?
Imprenditore: un fatto sociale?
Sorge una prima domanda: l’attività imprenditoriale di per sé è una iniziativa di Responsabilità Sociale? Cioè il fatto stesso che qualcuno inizi una impresa, rischi perciò del suo, ha una rilevanza sociale che può ben definirsi di ‘responsabilità sociale’? O che un imprenditore “resista” o “operi” nella crisi è un fatto di rilevanza sociale ?
Puristi e teorici tendono a configurare la RSI (Responsabilità Sociale d’ Impresa) una alleanza tra profit e non profit, ma di questo tema tacciono. Il beneficio di tale alleanza non è unicamente un certo tipo di sostegno al Non Profit, la finalità della alleanza, il cuore, la ragione ultima è proprio il bene comune, il bene socialmente inteso della città, del territorio delle persone.
In questo senso non si può non avere stima, grande considerazione e volontà di sostegno per questa opera di Responsabilità Sociale!
Non si spiegherebbero altrimenti gli sconcerti per tanti morti “bianche” di imprenditori e lavoratori.
E’ mancata la coesione sociale e consapevolezza. Il Governo non può unicamente rimandareil problema ai precedenti governi. Il tema della coesione riguarda l’azione, il presente. Anzi gli effetti delle azioni sul presente.
Azioni meritorie
Però tralasciando l’argomento imprenditorialità e lavoro ed entrando nello specifico teorico della Responsabilità Sociale si può dire che essa più che diventare una divisione aziendale di CSR, è il fulcro della azione meritoria della Azienda nel territorio.
E’ una qualità della iniziativa che porta avanti, una attenzione alla società e alle persone che vi lavorano. Una sana managerialità custodisce i posti di lavoro, li incrementa, ed interviene ad approfondire l’alleanza profit/non profit. Per questo l’imprenditore che rischia afferma una prima forma di CSR e diventa presenza di riferimento sociale.
Si vede in questi tempi che a fronte del fallimento o della crisi sociale della economia, delle aziende profit, nascono a lato iniziative da più parti per sostenere la società. Ne sono protagonisti le Istituzioni pubbliche, la Chiesa, le Fondazioni, e tante opere di carità. Meglio sarebbe stato che il mercato reale fosse stato meno blindato sul risultato finanziario (fare soldi, a qualunque costo, senza vedere gli effetti sociali in ricaduta) e più sull’economia reale.
A volte – Lehman Brother insegna – facili guadagni e sporadiche ricchezze di alcuni sono l’anticamera di tsunami incontrollati che spazzano via la vita di tanta gente. Senza guardare in faccia a nessuno.
Leve di profitto
Un secondo quesito è relativo proprio alla comunicazione. Solo i consumi sono una leva di profitto? Bisogna comunicare solo per vendere suscitando emozione pulsione, insomma propensione o è utile allargare il messaggio con ragioni forti, come il bene sociale?
Eppure l’insieme di messaggi che sottolineano la bontà di un prodotto, che inducono all’acquisto, hanno migliore successo se sono accompagnati da notizie del bene sociale che è derivato a categorie fragili di persone cui si vuole badare. Il test di efficacia è abbastanza facile: se a parità di prezzo, due prodotti, due marchi sono in concorrenza, uno dei due, quello che introduce elementi di RSI, ha più probabilità di essere scelto.
E sempre più questo sentiero è battuto oggi da spot televisivi, in trasmissioni di successo, sugli scaffali della GDO. Un modo di manifestare una conveniente alleanza.
Beneficenza silenziosa
La RSI supera quella forma di beneficenza silenziosa, dall’alto al basso, che viveva nell’800. Oggi che il “padrun” non è più una figura munifica e quasi intoccabile, lo è un consiglio di amministrazione di una Multinazionale, in cui il Presidente o il General Manager hanno a che fare con pluralità di interessi, ed essi fanno emergere che quella beneficenza, o azione sociale, ha un suo ruolo decisivo per il successo di prodotti e servizi..
Il ruolo della comunicazione
Anzi il ruolo è tanto più importante quanto più comunicata.
E’ infatti la comunicazione che rende meritoria l’azione aziendale. E tanto più il Non Profit è radicato nel territorio (in Italia o all’estero) per persone fragili (Bambini o anziani) per il territorio che ha bisogno di attenzione (pensiamo al verde cittadino curato da alcune aziende – anche qui quante differenze e quante… figuracce…per le dimenticanze) al patrimonio culturale reso accessibile da collaborazioni vincenti, e tanto più evidente emerge un largo bene comune che sostiene imprenditorialità illuminata e lungimiranza nella attività produttiva.
E’ un forte esempio anche il legame evidente nell’editore di DM&C che giustamente ha affiancato una realtà associativa come la Buona Comunicazione o le pagine di prodotto dedicate al sociale.
E’ una sensibilità che andrebbe non solo valorizzata ed emulata, ma meriterebbe quel sostegno del “pubblico” per l’esemplarità dell’impresa editoriale.
Alleanza profit-non profit
L’alleanza profit – non profit è stata poi sancita dalla legge sullo sconto nella dichiarazione fiscale per la tassa sugli utili fino a 60.000 euro circa. Bene fanno alcune società come Microsoft, Autogrill, IKEA, tanto per fare solo tre nomi che hanno un proprio manager CSR.
Una divisione che cura la relazione e incentiva l’incremento della collaborazione. E grande attenzione viene riservata a queste iniziative tese ad evitare sprechi innanzi tutto.
Sprechi di produzione, sprechi nella comunicazione e maggiore legalità nell’immagine del proprio agire. Fare marketing senza tener conto della RSI è come lavorare senza un elemento importante del vivere nella società, e come programmare con gli occhi sul profitto in modo esasperato, senza l’accortezza di vedere che il profitto cresce se il benessere sociale è documentabile. E la documentazione è comunicazione.
La comunicazione è fatta per cercare consenso. Il consenso è più grande se colui che ha più bisogno manifesta fortemente gratitudine. Se la comunica, l’incremento di immagine, di consenso è veramente misurabile.

Bruno Calchera