Come nasce il BITeB

Statuto dell’associazione di volontariato Banco Informatico Tecnologico e Biomedico

Intervento di Stefano Sala, presidente del Banco Informatico Tecnologico e Biomedico, al Meeting di Rimini 2008

“Io ho sempre avuto il desiderio che la vita sia utile, compiuta ed è un desiderio che non si compie soltanto con la vita ordinaria del nostro fare normale. Mi è sempre rimasto dentro questo desiderio di utilità che nel tempo, nell’incontro appunto con la compagnia cristiana, si è proprio evoluto verso quello che mi è successo…”

Andiamo subito ai fatti. Siamo nel 2003, a quel tempo il mio lavoro era quello di essere Amministratore Delegato della Filiale italiana di una Società molto particolare, che si occupava di aiutare, assistere le aziende dopo problemi molto gravi, tipo allagamenti o incendi. Un settore molto di nicchia. In quel periodo la nostra azienda fu incaricata di salvare i dati dei computer dopo quel piccolo disastro aereo, che vi ricorderete, di quell’aereo da turismo che entrò nel Pirellone a Milano.
In quel periodo noi fummo incaricati di salvare i dati dai computer danneggiati da questo crash e una volta salvati i dati il cliente ci disse: “Guarda, non ci interessa riavere indietro i computer. Dateci soltanto i dischetti con i dati, perché i computer li comperiamo nuovi”. E quindi io, in quel periodo, mi trovai ad avere nel magazzino dell’azienda che dirigevo un centinaio di computer. Anziché buttarli via, dissi: “Mah, teniamoli qui, non si sa mai cosa nella vita può succedere”. Caso volle che dopo pochi mesi, durante una vacanza, incontrai un sacerdote genovese che ci raccontò la sua storia personale: era andato a Lima a trovare un amico e quando era lì il suo amico morì.
Allora il Vescovo locale gli disse: “Senti, stai qui un po’ per darmi una mano” e lì rimase lì tutta la vita e poi divenne anche Vescovo, tuttora lo è, di Lima.

Questo Vescovo mi raccontava che il problema in America Latina non era tanto quello di aiutare le persone con dei contributi in denaro, ma era quello di educarli, di educarli per esempio a una responsabilità economica e quindi decise di fondare una Facoltà di Economia e Commercio.  E mi disse: “Ma guarda, l’unica sfortuna che abbiamo è che in tre anni abbiamo già qualche migliaio di studenti e soltanto una decina di computer”. Allora mi è balenata questa idea: “Ma guarda che, se vuoi, io ho 100 computer che ti posso donare”.
Così, quasi inavvertitamente, è nato il primo servizio del Banco Informatico. Una sera a cena fra amici, raccontando questo episodio, un amico mi disse (quindi qui confesso pubblicamente che l’idea del Banco Informatico non è la mia): “Ma senti, perché non troviamo il modo sistematico di raccogliere dalle aziende i computer che cambiano, benché ancora funzionanti, non li rimettiamo a posto e non li doniamo a quelli che invece non hanno la possibilità di acquistarli?”.
Così è nata l’idea del Banco Informatico. Molto semplicemente.

Come nasce il Banco Informatico Tecnologico e Biomedico

Allora, siamo nel 2003, abbiamo cominciato ad andare in un po’ di aziende a capire se questo poteva essere un’idea e ci siamo accorti di un altro fatto fondamentale, che era appena uscita una legge, in Italia, che sostanzialmente rendeva i computer obsoleti un problema per le aziende. Perché avrebbero dovuto, e tuttora è così, pagare per smaltirli. Un computer viene considerato un rifiuto speciale, per quanto non tossico e quindi, come tale, va smaltito a pagamento. Allora lì ci nacque l’idea, proviamo a proporre alle aziende: “Guarda, che se tu aspetti che il tuo computer finisca la sua vita e non funzioni più, devi pagare per smaltirlo, se invece quando lo stai per cambiare, quindi quando è ancora funzionante, decidi di donarlo alla nostra realtà, hai un risparmio economico”.

Questa è stata la prima grande idea che ci è venuta facendo quest’opera. Quando si va a parlare nelle aziende, non bisogna accontentarsi delle briciole che cadono dalle loro tavole, ma si può dal mondo non profit parlare col mondo profit allo stesso livello, ponendo dei bisogni concreti e delle risposte concrete a dei bisogni che hanno le aziende. Poi nel tempo questo rapporto si è sviluppato, allora abbiamo cominciato a raccogliere i computer e, per esempio, ci siamo accorti di un fatto di cui non ci eravamo mai accorti, cioè che in un città come Milano, ci può essere a 100 mt. di distanza una grande Banca che decide di cambiare dei computer che hanno solo 2 anni di vita, perché i sistemi informativi nuovi chiedono delle potenze di memoria maggiori e magari, a pochi metri di distanza, c’è una cooperativa scolastica che non ha la possibilità di comprare i computer perché non ha i soldi per fare i corsi di formazione ai bambini delle elementari. Io, insieme ai miei amici, non abbiamo fatto altro che mettere insieme questi due fatti che abbiamo visto e così pian piano l’attività del Banco è partita proprio su questo punto.

Voi sappiate che in Italia, non ci sono dati ufficiali, ma vengono buttati via ogni anno circa 10 milioni di computer. Di questo si stima che circa il 10% siano computer ancora funzionanti. Quindi io credo che oggi, che si parla tanto di environment sostenibility, come si dice, detto più banalmente, di problematiche ecologiche di sostegno, il primo contributo che si possa dare a questo tema sia quello di continuare ad usare le attrezzature fino a quando hanno la possibilità di essere utilizzate.
Poi, durante il nostro lavoro, ci siamo domandati più volte con che criterio fare questo lavoro e una delle prime cose che ci siamo accorti nasce da un fatto dell’ esperienza mia personale, di vita ecc… Io quando andavo a scuola, nell’intervallo c’era qualcuno che vendeva le merende, le cioccolate ecc…, le caramelle, ecc… le merende. Allora quando si andava lì a comprarle, c’erano sempre le caramelle un po’ dure, un po’ attaccate, le cicche ecc… Allora si diceva:

“Ma scusa, ma perché le caramelle non sono buone?”.

E ci veniva risposto:

“Eh, cosa vuoi, son già qui gratis, cosa vuoi?”.

No, un lavoro non profit ha la stessa dignità di un lavoro profit, ogni cosa che uno fa deve avere la dignità di un lavoro vero.

Quindi ogni computer che esce dal Banco Informatico deve orientativamente essere perfetto, in modo tale che chiunque lo riceva possa riceverlo e dire:

“Grazie, bello, funziona”.

Quindi da questo è nato proprio un modo di fare questa attività, per cui abbiamo deciso, con un sacrificio anche importante, che ogni computer che ci veniva donato, per quanto ci fosse garantito che fosse funzionante, andasse testato. Allora ho chiesto a degli amici di aiutarci in questa attività di test. Oggi noi abbiamo una cinquantina di ragazzi, studenti di ingegneria, del liceo, delle scuole superiori, di fisica, di medicina che vengono a darci una mano, tutte le sere, dalle nove a mezzanotte, a mettere a posto i computer che ci donano. Questo ha anche fatto sì che nascesse un altro aspetto interessante. La più grande azienda di software nel mondo, vedendo questo nostro modo di lavorare ha detto:

“Voi siete una realtà che può essere utile al mondo dell’informatica”.

Per cui siamo diventati membri di un programma di carità internazionale per cui, per ogni computer che noi doniamo, ci viene donato un software originale da mettere nella macchina. Quindi, chiunque riceve un computer riceve già oltre alla macchina anche il software per farlo funzionare. Questo è stato un grande segno, per noi, perché ci ha aiutato a capire il valore di quello che stavamo facendo.

Poi l’altro punto interessante è stato quello del rapporto tra il mio lavoro normale e questa opera di carità. Io adesso, come lavoro, sono un imprenditore, ho un’azienda che lavora nello stesso settore dell’azienda dove lavoravo prima e devo dire, come esperienza personale, che il fatto di avere contribuito a crescere, a far nascere quest’opera di carità, ha cambiato completamente il mio modo di fare la mia azienda profit. Mi sono accorto di un fatto decisivo: qualunque azienda, anche quella che faccio per vivere, quindi la mia azienda profit, deve avere come criterio fondamentale di fondo un gesto di gratuità. Se io voglio fare per davvero il mio lavoro profit, al fondo del lavoro ci deve essere uno sguardo di gratuità sulla realtà, per cui io rispondo ai bisogni dei miei clienti, dei miei fornitori, delle banche, ecc… partendo da uno sguardo attento e gratuito alla realtà, senza del quale non si riesce a fare neanche un’azienda profit.

Quindi devo essere molto grato a questa esperienza del Banco che mi ha permesso di fare questa esperienza. Poi mi permette anche di fare il lavoro normale con una leggerezza e con una apertura dello sguardo totale ,che normalmente un lavoro profit non riesce a dare. Quando andiamo dalle aziende a parlare del nostro lavoro e a vendere i nostri prodotti, quasi sempre riusciamo ad avere una finestra in cui raccontiamo dell’esperienza del Banco ed è impressionante quante persone, quanti imprenditori, quanti manager, sentendo l’esperienza del Banco, hanno raccontato anche loro di questo desiderio di utilità che uno ha nella vita e magari non trova mai la modalità per esprimerlo. Per cui i più grandi benefattori del Banco oggi sono persone d’aziende che io ho conosciuto per lavoro. Come dice uno dei miei soci che con me ha fondato quest’opera:

“Alla fine il profit e il non profit si fondono in questo desiderio di utilità e di gratuità di cui la nostra vita, il nostro cuore è fatto”.

Poi vorrei raccontarvi di alcuni esiti di questo lavoro. Chiaramente, in questi pochi minuti, non posso raccontarvi tutto quello che noi facciamo poi, magari chi vuole, può anche venire a vedere al nostro stand cosa facciamo fino in fondo.

Tra gli esiti che abbiamo raggiunto in questi primi anni di lavoro dovrei dir questo: prima di tutto, una cosa molto bella, è che quando molti dei miei colleghi hanno visto che, alla fine dell’orario di lavoro, noi ci fermavamo in alcuni a pensare come fare il Banco, come poterlo organizzare, alcuni di loro ci hanno cominciato a chiedere:

“Ma, possiamo dare una mano anche noi?”

Ed è stato bellissimo vedere che anche tra persone di qualunque tipo di esperienza, provenienza, ecc… di fronte al fatto di poter mettere in gioco questo desiderio di utilità, è nata un’amicizia oltre alla collaborazione professionale. Come dire, questo desiderio di utilità, che ci ha messo insieme, ha fatto come scorgere che, dietro questo desiderio di utilità, c’era come il desiderio di una compiutezza totale, che la vita fosse piena, completa, definitiva. Io credo che donare del tempo, avendo come scopo quello di approfondire questa domanda di utilità, sia il primo modo per scoprire qualcosa di più grande. Poi una delle ultime sfide è stata quella che alcuni degli amici che fanno con me il Banco ci hanno lanciato:

“Ma noi già da un po’ di anni facciamo una attività simile anche per le apparecchiature degli ospedali, quindi aiutiamo degli ospedali in paesi in via di sviluppo cercando delle attrezzature che a loro servono, le tac, i radiografi, ecc…”.

E allora mi hanno detto:

“Ma perché non ci mettiamo insieme? Perché non facciamo insieme anche questa parte del lavoro?”.

Io inizialmente dissi:

“Guarda, proprio non ce la faccio. Già ho il mio lavoro di imprenditore, più questa attività del Banco che ancora mi prende, siamo appena agli inizi ecc…”,

e dicevo:

“No, non ci sta, è impossibile, non ci sta”.

Poi però quando loro mi hanno raccontato come facevano questa attività, la cura con cui aiutavano questi ospedali, mi sono come commosso e ho detto:

“Va bene, facciamola assieme”.

Allora abbiamo cominciato a metterci insieme. Quindi addirittura il Banco informatico ha cambiato nome e oggi si chiama Banco Informatico Tecnologico e Biomedico. Aderire a un fatto che la realtà pone davanti, che mi commuove, che mi attrae, porta sempre dentro una promessa di bene, di compimento, stando alla quale, quella promessa si compie. Oggi le persone che fanno questa parte biomedicale sono diventate parte integrante del nostro lavoro e conducono con noi quest’opera in un modo grandissimo.

L’altro aspetto è proprio sulla conduzione. Io ho cominciato a far quest’opera come impeto mio, come vi ho raccontato oggi e poi pian piano, però, mi sono accorto che lo scopo grande di quest’opera non era soltanto quello di cercare di rispondere al bisogno di informatica che c’era nel mondo, ma attraverso questo poter dare testimonianza a tutti che, attraverso la risposta a questo bisogno, noi siamo vicini sul bisogno di totalità. Per cui il desiderio era comunicare questa grandezza di totalità da me incontrata e dai miei amici incontrata. Allora mi sono accorto che per una cosa del genere non potevo essere da solo.

Allora ho coinvolto nella conduzione di quest’opera degli amici, non necessariamente degli esperti di informatica, ma degli amici con cui questa esperienza di totalità io avevo fatto. Da lì il Banco ha avuto una salto di qualità. Noi oggi ci raduniamo tutti i mesi, sempre come attività caritativa, per condurre questa attività e da lì si escono sempre, con un respiro più grande, idee, suggerimenti, possibilità di sviluppo che hanno smascherato che io potessi fare quest’opera da solo. Ultimo punto. Quello che è interessante, è che dopo quattro anni, l’attività è cresciuta, oggi doniamo circa 5000 computer l’anno. Abbiamo circa 150 volontari che ci aiutano a vario titolo. Abbiamo collaborazioni con degli Enti non profit importanti, quindi oggi, il Banco è, se voi lo veniste a vedere a Peschiera Borromeo, dove abbiamo il nostro laboratorio, quasi una piccola fabbrichetta non profit. Però anche oggi, dopo quattro anni di distanza, io credo che il termine di giudizio su come noi stiamo facendo quest’opera è sempre: “Che esperienza di carità stiamo facendo, facendo quest’opera? A che cosa stiamo portando le persone che lavorano con noi?”. E quindi, è stato impressionante vedere come tantissime persone hanno cominciato a darci una mano proprio a partire da questo desiderio di essere utili, che ciascuno di noi ha e partendo di quello ci hanno aiutato a crescere in quest’opera.

Oggi l’opera esiste e funziona per il gran numero di volontari che fanno un’attività fantastica; ogni tanto alla sera, quando vado a casa dal lavoro, verso le otto e comincia il turno di testaggio dei computer dei ragazzi, rimango commosso dalla gaiezza e dalla leggerezza con cui loro vengono lì a fare quel lavoro e questo è un grande segno, per me, di responsabilità, di andare all’origine del perché abbiamo deciso di fare quest’opera, che è proprio quella di poter testimoniare a tutti la grandezza che abbiamo visto noi e attraverso la risposta a questo bisogno comunicare un po’ di più, la grandezza di risposta al bisogno di totalità che io ho incontrato. Per farvi vedere questo vorrei leggervi, per finire il mio intervento, due lettere tra le centinaia che riceviamo di persone che ci ringraziano dei computer che riceviamo. Una lettera è anche un po’ ironica, eravamo all’inizio, una lettera di tre anni fa, un prete missionario in Congo mi scrive così:

“Carissimo Signor Stefano Sala, un caro saluto dal Congo con i migliori auguri per le Sante Feste Natalizie. La spero bene e con un cuore grande per aiutare le missioni. Purtroppo dei computer ricevuti dalla vostra associazione ne funziona solo uno e di cuore vi ringrazio per il dono che ci avete fatto. I nostri giovani imparano in fretta”.

Dal dolore che ho provato sentendo che solo uno dei computer funzionava, ma soprattutto dal ringraziamento, perché questo signore, questo sacerdote non si è lamentato dei tre PC che non funzionavano, mi ha ringraziato per quello che funzionava, da questo è cambiato il modo con cui noi ci siamo messi a testare i computer.

Poi l’ultima lettera, una delle ultime ricevute, che dice bene dello scopo per cui noi abbiamo fatto quest’opera. Dice così:

Gentile Dott. Sala, abbiamo ricevuto i 20 PC che ella ha voluto donare tramite l’Associazione di cui è Presidente alla nostra Congregazione religiosa che, come già abbiamo avuto modo di spiegarle, verranno utilizzati in parte per avviare una nuova opera di carità nel campo della formazione di ragazzi con difficoltà motorie e in parte verranno utilizzati per sostituire quelli ormai decennali della nostra amministrazione. Non le nascondo la sorpresa quando i computer sono arrivati presso la nostra sede. La buona volontà con la quale i vostri volontari ci hanno aiutato a scaricarli, la cura dell’imballo, nonostante i computer fossero usati sembravano computer nuovi e poi la sorpresa, una volta attivati, di vederli subito funzionanti, senza dover fare intervenire ulteriormente altri tecnici.
Noi spesso riceviamo regali da molti benefattori e ringraziamo tutti, tutto è dono del Signore, ma ogni tanto non siamo in grado di utilizzare quanto ci è donato perché troppo obsoleto. Ricevendo i vostri computer, invece, mi è tornato alla mente il vostro slogan: “Condividere i bisogni per condividere i bisogni della vita”, lo slogan del Banco alimentare. E’ proprio così attraverso il dono dei vostri computer, abbiamo sperimentato che il vostro scopo è quello di testimoniare a tutti che accogliere l’altro è possibile, perché Gesù ci ha accolto tutti e ci ha dato la gioia di comunicarlo. Vi incoraggiamo quindi sulla vostra strada e vi assicuriamo di pregare il Signore perché possiate farlo conoscere a tutti attraverso il vostro lavoro”.
Grazie.